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Posts Tagged ‘piergiorgio oliveti’

Avere memoria è un esercizio della coscienza. E la coscienza è la base distintiva che ci rende unici, speciali, all’interno del più vasto regno animale, ciò che divide l’uomo dalle “bestie” almeno sotto il profilo etico. Fino a qui tutto sembrerebbe filare liscio. Peccato che – come tutti sappiamo bene – le cose siano un po’ più complesse. I bambini innocenti sciolti nell’acido sono solo la punta dell’iceberg di indicibili episodi di quotidiana violenza dell’uomo verso l’uomo, stragi di civili, religiosi, bianchi e neri, ricchi e poveri, giovani e vecchi…Immersi come siamo nella contemporanea civiltà della comunicazione , nel tam tam quotidiano dove giocoforza prevale la breaking news, il disastro, il negativo, siamo costretti a riflettere per non essere sminuiti, resi  insensibili , smemorati, abitatori esclusivi dell’attimo, avulsi dal nostro contesto, dalla storia. Qualcuno si sofferma sulla banalità del male, sugli effetti del venir meno, spesso temporaneo e casuale, dell’umanità. Altri preferiscono investigare le cause di una, cento, mille Srebrenica, di ieri, di oggi e di domani, i momenti di apparente frattura della Storia, le faglie o le foibe che si aprono inaspettatamente sotto i nostri piedi, tra le nostre case e chiese, che incrinano le certezze, seminano sgomento, terrore. Il rischio di voltarsi dall’altra parte, di non voler “vedere” e “sapere” c’è anche oggi. E allora non è più sufficiente solo ricordare: la complessità del momento ci obbliga a partecipare, a collaborare, a costruire una  vera e propria “cultura della memoria” affinché non vi siano altri vicoli ciechi  dietro l’angolo. Quando anche l’ultimo deportato e sopravvissuto ad Auschwitz-Birkenau non sarà più con noi, dovremo essere ancora più vigili, attenti, proattivi, leggere e rileggere le cronache delle storie dell’orrore, tramandare il racconto dell’inimmaginabile Shoa, la distruzione programmatica e industriale di un popolo, con tutto quello che ne consegue. Dovremo ricordare e sapere distinguere. Avere memoria fa bene a noi stessi, fa bene alle nuove generazioni e fa bene al pianeta.  Ma avere memoria significa anche “stare in guardia”, di fronte alle modificazioni dell’epoca, alla perdita di sovranità delle nazioni, dei popoli, all’emergere imponente di nuove spinte economiche e sociali, ai poteri della finanziarizzione del mondo che ci slegano dalla terra, dal lavoro, dall’etica del quotidiano. Anche i nostri più nobili istituti democratici conquistati  a prezzo di decine e decine di milioni di morti nella Seconda Guerra Mondiale, sono oggi fragili  come non mai, rischiano in qualche modo di essere svuotati di senso, banalizzati essi stessi. In questo contesto difendere l’idea e la costruzione dell’Europa, non è più solo un esercizio per stucchevole di “anime belle”, di elite culturali e politiche che tracciano il solco: “Per fare l’Europa –  scrive Jacques Le Goff – occorre un impegno da parte di tutti che deve compiersi nella conoscenza del passato tutto intero e nella prospettiva dell’avvenire>>. Se l’Europa con il 7% della popolazione mondiale detiene il 20% delle ricchezze,- è chiaro a tutti –  lo squilibrio è congenito al nostro sistema. Non lo dico io, non lo dice la politica, lo  dicono i numeri.  L’appartenenza europea è dunque la chiave per un futuro di pace e di prosperità, rifuggendo i due opposti relativi. Ma quando di fronte ad un disastro scellerato come quello della “Costa-Concordia” un giornalista tedesco – Jan Fleischhauer, uno dei columnist di Spiegel online 1,

–  afferma in buona sostanza  che se il capitano fosse stato tedesco, non sarebbe mai successo: ‘Bella figura’, è lo sport popolare di massa italiano, cioè impressionare gli altri, anche Schettino voleva fare bella figura, purtroppo ha trovato uno scoglio sulla sua strada”, potremmo derubricare la frasetta come boutade di bassa lega per parlare alla pancia teutonica e vendere qualche copia in più. Purtroppo al contrario dobbiamo, come europei  rigettare anche questi atteggiamenti  di razzismo strisciante, e ricordare forse che non trovarono alcun scoglio i noti “trasporti” speciali di deportati da Roma, Parigi o Salonicco verso le rampe  dell’inferno di Auschwitz: i treni speciali giungevano sempre in orario.

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La sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani di Orvietò terrà il proprio congresso il 29 gennaio alle ore 17 presso il Palazzo del Gusto ad Orvieto ( Palazzo S.Giovanni). La riunione sarà introdotta da Pier Giorgio Oliveti responsabile del circolo e sarà conclusa da Valentino Filippetti, vice presidente provinciale. Il congresso eleggerà i delegati al congresso provinciale del 19 febbraio a TERNI in preparazione di quello nazionale del 24/27 marzo a Torino.

Alle ore 17,30 si terrà la presentazione del libro di Olga Lucchi sui deportati umbri. In questo libro si parla anche di Angelo Costanzi, l’antifascista orvietano deportato in germania alla fine della seconda guerra mondiale.

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“Li presero ovunque. Storie di deportati umbri”, di Olga Lucchi
Arrestati nelle loro case, nei loro paesi, nei luoghi di lavoro e di emigrazione, i deportati umbri costituiscono una parte sconosciuta dell’antifascismo della regione, quello di studenti, operai, artigiani, contadini e militari che non accettarono le imposizioni del regime e l’occupazione nazista e furono per questo deportati nei Lager. La partecipazione alla Resistenza,
o la semplice accusa di solidarietà ai partigiani, e prima ancora l’opposizione alla dittatura furono alcuni dei motivi per cui furono deportati.
I luoghi in cui operarono furono quelli della Resistenza umbra e francese, le fabbriche dell’Italia del nord, Roma, le miniere di Lorena e Lussemburgo e le città francesi in cui erano emigrati. Non mancarono tra i deportati umbri le donne e alcuni ebrei. Quasi tutti i grandi Lager videro la presenza di umbri: Auschwitz, Buchenwald, Dachau, Dora, Flossenbürg, Gross Rosen, Majdanek, Mauthausen, Natzweiler, Neuengamme.
Archivi, diari, testimonianze hanno permesso di ricostruire le biografie di alcuni deportati, delineando un affresco ricco e complesso dell’antifascismo umbro,
fatto di vite dedicate alla libertà, nella maggior parte dei casi distrutte nella macchina infernale dei campi di concentramento nazisti.

Olga Lucchi, ricercatrice, segretaria dell’Aned Umbria. Collaboratrice dell’Isuc (Istituto della storia dell’Umbria contemporanea), dell’Officina della memoria e del Comune di Foligno. Ha curato di recente gli atti del convegno
Dall’internamento alla libertà. Il campo di concentramento di Colfiorito e la ristampa di Memorie di un ribelle di Adelio e Fausta

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